19/01/11

Film - Vallanzasca vs. Romanzo Criminale


A cinque anni da un lungometraggio importante, per molti versi fondamentale nella nostra cinematografia recente come Romanzo Criminale, Michele Placido torna a confrontarsi con un altro malvivente che ha scritto pagine oscure della nostra storia più recente, il cosiddetto “Boss della Comasina” Renato Vallanzasca.
Un paragone tra questi due film “gemelli” è quindi abbastanza imprescindibile, soprattutto per definire quanto il cineasta si sia evoluto nella sua appropriazione di un genere ostico al cinema italiano come il crime-thriller.
Nel passaggio tra il primo e il secondo film si possono infatti notare delle evidenti correzioni nel registro drammatico e nello sviluppo narrativo che rendono Vallanzasca-Gli angeli del male un lavoro molto più compatto rispetto al suo predecessore. 
Romanzo Criminale era un’opera che nella prima parte possedeva una notevolissima coerenza estetica, scaturita dall’equilibrio tra una sceneggiatura bilanciata a puntino e l’idea di cinema della coppia Placido/Bigazzi che si esprimeva in maniera veloce, precisa, senza badare troppo ai fronzoli ed ai ritmi più pacati delle ricostruzioni d’epoca.
Poi, dopo l’uscita di scena del personaggio più carismatico della Banda della Magliana, il Libanese/Pierfrancesco Favino, il film perdeva di coesione drammaturgica, si faceva scoordinato nel portare avanti storie e psicologie delle varie figure.
Con Vallanzasca-Gli angeli del male questo scollamento viene superato dalla sceneggiatura, scritta tra gli altri dallo stesso Placido e dal protagonista Kim Rossi Stuart.
Nel raccontare le gesta del criminale milanese il film non perde mai di ritmo, sviluppa con sicurezza le dinamiche interne al personaggio principale, ne costruisce l’ascesa e la successiva caduta con tappe ben scandite.
Anche da punto di vista squisitamente visivo la confezione è ineccepibile: Michele Placido dimostra fin da subito di voler spingere sul pedale del puro genere e realizza un poliziesco in cui le scene d’azione funzionano bene, il montaggio a tratti virtuoso contribuisce a sterzate di ritmo funzionali, la fotografia di Arnaldo Cantina è come al solito elegante senza essere eccessivamente ricercata.
Dove però Vallanzasca  perde probabilmente il confronto con Romanzo Criminale è nello “spessore” delle figure delineate: il carisma esplicitato dal trio di protagonisti di quel film, la forza e la durezza di quei caratteri viene in parte persa in quest’ultima produzione da una rappresentazione cinematografica che, molto attenta alla confezione ed alla fluidità di scrittura, tratta in qualche modo il protagonista in maniera più glamour che realmente drammatica, definendolo quasi più come una rockstar che come un malvivente con addosso il peso delle sue azioni criminali.
Sotto questo punto di vista però pesa probabilmente sul film l’atteggiamento sfrontato del personaggio reale, costantemente alla ricerca dei riflettori e dell’attenzione dei media.
Anche a livello di interpretazioni, l’efficacia condivisa del gruppo di ottimi attori di Romanzo Criminale viene soltanto in parte pareggiata da un Kim Rossi Stuart come sempre notevole, che però viene circondato da un cast di supporto abbastanza ondivago: Filippo Timi ad esempio è involontariamente parodistico (cosa che purtroppo gli sta succedendo sempre più spesso) nel delineare il suo personaggio.
Infinitamente superiore invece la prova di Gaetano Bruno, un attore che meriterebbe molta più considerazione rispetto ai soliti ruoli secondari che gli vengono assegnati.
Difficile valutare poi le performance degli “innesti” stranieri Paz Vega e Moritz Bleibtreu, sminuiti in due personaggi di contorno a cui non è stato dato dalla sceneggiatura uno spessore drammatico rilevante. 
Vallanzasca-Gli angeli del male dimostra con evidenza lo sviluppo di Michele Placido nel ragionamento e nella successiva realizzazione su quello che potremmo forse impropriamente chiamare il “poliziesco storico”.
Nella lucidità con cui è stato scritto e girato risiede la sua forza primaria.
Un minimo di corposità in più avrebbe reso questo film un’opera difficilmente attaccabile.

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